XHIXHA – Vis à Vis
Città di Castello - Montone VIS à VIS - sculture in dialogo
Nella vita degli artisti arriva sempre il momento in cui si prova il desiderio di un confronto con il pubblico. Forse per la natura stessa delle arti che debbono parlare a qualcuno, agli altri, oltre che al creatore stesso; per un bisogno umano di confrontarsi, di trovare il coraggio di aprirsi al mondo o perché alcune opere, in un certo momento, trovano da sole il modo ideale di andarsene per la propria strada.
Il viaggio che i gioielli luminosi di Helidon Xhixha compiono oramai da anni, e che li ha portati nelle grandi città del mondo, negli aeroporti, nelle piazze di modernissimi quartieri, dentro i musei, nei parchi e nei giardini, nei centri storici di magnifiche città, oggi li conduce al cuore di Città di Castello e di Montone. Terre umbre di condottieri valorosi, patrie d’arte, custodi di un sapere antico artigiano, hanno nel loro risvolto storico contemporaneo, una combustione marcata, capace di caratterizzare fortemente anche un pezzo dell’arte italiana del Novecento.
Sono convinto che Helidon Xhixha, che conosco come artista sensibile ed informato, ha assorbito riflessioni simili, sia nel realizzare le proprie opere, che per la loro selezione, proponendo qui, come ulteriore verifica del suo operare, un confronto, un faccia a faccia, un vis à vis con la storia, la natura e con la vita della città. Stanno uno davanti all’altro, l’immagine e la realtà, la materia ed il riflesso, la storia e la contemporaneità, il passante che guarda e il suo ambiente, il soggetto e il suo complemento, tu ed io ma anche io ed io. Un vis à vis infinito, carico di effimera poesia o di radicate certezze, sta a noi decidere.
Il giovane scultore Helidon è sbarcato l’8 agosto 1991 nel porto di Bari, a bordo della nave Vlora, con altre ventimila persone provenienti dall’Albania: come unico bagaglio, la speranza di una vita migliore ed il sogno di fare l’artista in terra d’artisti. Dell’immaginario collettivo si nutre la storia e il suo racconto, diventando pietre miliari, momenti, immagini. Helidon, aveva con se nelle mani l’esperienza e le raccomandazioni di suo padre scultore e nel cuore l’amore consolatorio della madre. La sua volontà e i sacrifici lo hanno portato a studiare in Accademia e fin da subito ha trovare il suo linguaggio unico ed originale; apparentemente semplice e comunicativo, proprio per mettersi immediatamente a confronto, in un dialogo aperto, faccia a faccia con chiunque guardi una sua opera. Le superfici specchianti che si alternano a quelle levigate, fanno un taglio nell’aria, una porta aperta, un nuovo ambiente dove l’osservatore è invitato ad entrare. E’ li, in quello spazio inventato, virtuale, irreale che si compie il dialogo, dove avviene l’incontro vis à vis, intimo e pubblico insieme; dove chi guarda e chi crea, si danno la mano, si confrontano con un duetto all’unisono di ringraziamento al Cielo.
Xhixha crea oggetti che resistono con la leggerezza alla pesantezza della materia e dei volumi, con la levità impalpabile alla fragilità della luce. Capricci di luce che celano dietro un’apparente evidenza del crudo acciaio inossidabile, il mistero di un artificio fatto di carezze, predisposto ad abbracciare chiunque a lui si avvicini. Forse non v’è un’arte senza tecnica e la stessa, è sempre funzionale all’arte, dimostrando spesso che possiede innata una sua dimensione estetica, un valore, una bellezza, che stupisce l’artista per primo (…il primo a meravigliarsi di ciò che fa è l’artista stesso… Roland Barthes) e poi il pubblico che guarda. Per cui, la perizia esecutiva di Helidon Xhixha trasforma con naturalezza la radice etimologica della greca Technè in arte, attraverso lastre metalliche, lisce ed ondulate, essenziali increspature che consentono alla luce di trovare il suo nido ideale per rigenerarsi e ritornare a spiccare il suo volo etereo più forte e luminosa che mai. Questi monoliti di luce, questi fari rassicuranti per il viandante, accendono di raggi luminosi il moderno pellegrino; non sono il simbolo della solitudine, ma attendono chi li guarderà, per restituire generosamente lui, un mondo poetico circostante, sfuggito nella quotidianità, trattenuto dall’indifferenza ed ora godibile e visibile perché restituito tutto intero nello specchio del suo valore di opera d’arte. Ecco perché non possiamo trattenerci a scattare fotografie davanti alle sculture di Xhixha: per cogliere visioni che ci erano sfuggite, per un vis à vis sincero, fatto di sottili riflessi di segni, di tracce antiche come sospiri, che colgono l’essenza incorporea della luce, che proietta l’ombra di noi, visitatori stupiti davanti a quel magico inganno.
Forme che non si presentano statiche, ma in una naturale metamorfosi, superfici specchianti, ondulate, in trasformazione, in mutazione dinamica: la forma pura cangia verso l’informe passionale, o viceversa, dal magna ferrigno nasce il profilo ricomposto delle linee. Xhixha è capace di bloccare la forma durante la sua trasformazione, nel suo movimento di materia, nel momento culminante in cui l’equilibrio, ancora non si dichiara, ma lascia lo spazio all’intuizione.
Intuizione che porta l’intervento dell’artista a progettare un percorso che dalla recuperata Piazza delle Tabacchine (dove “Triangolo di luce” s’inserisce tra le linee ortogonali della piazza) entra attraverso l’ingresso monumentale originario di Palazzo Vitelli, aprendo al visitatore l’immagine della facciata a graffiti su disegno Vasari, per accedere poi al giardino rinascimentale all’italiana, dove gli artifici spaziali di Xhixha sembrano atterrati magicamente sul prato, tra le siepi, capaci di dialogare con stupore, con le geometrie della natura. La perfezione del manufatto, dell’esecuzione, la lucentezza, la purezza delle forme, abbracciano tutto il mondo antico e quello contemporaneo in un sol colpo.
L’onore ed il piacere che Helidon Xhixha mi ha confessato, nell’essere presente con la propria opera a Città di Castello e Montone, luoghi sospesi nel tempo, che gli aprono le porte facendo degli angoli selezionati, gli spazi ideali per la sua scultura. La Pinacoteca, luogo di raffronti storici nell’arte, tra Raffaello e Signorelli, (con sorpresa abbiamo trovato in una didascalia della mostra in corso, la medesima concezione del Vis à vis) tra Perugino e Raffaello, tra scuola duccesca e Vasari, tra il Trecento e il Rinascimento, tra l’antico ed il moderno, accoglie oggi un faccia a faccia particolare, un “vis a vis” tra lo spazio di una straordinaria dimora rinascimentale, i colori e forme di alcune magnifiche opere d’arte, e il silenzio specchiante della scultura contemporanea di Helidon Xhixha.
E’ la specchiatura dell’acciaio che diventa l’amica geniale, una prova concreta dell’esistenza in vita di chi ad esso si affaccia, fornendoci un formidabile invito al viaggio vero o immaginario dell’introspezione, meditando sulla propria figura o volto riflesso. Indagare se stessi, nelle forme specchianti di Xhixha, è penetrare nel profondo dell’essere umano, con la modalità della rappresentazione e la modalità della conoscenza, unite per noi nel gesto creativo dell’artista.
Le opere d’arte, il porticato, la piazza, il palazzo Comunale, la cattedrale, le piazze-balconi sul paesaggio infinito di Montone, la luce di questo orgoglio di città, la materia ed il colore di cui Burri fece storia moderna, cominciano oggi il loro dialogo con le opere d’acciaio lucidato del Maestro scultore italo-albanese. Ma soprattutto, è un lavoro, quello di Xhixha dove il dialogo, il vis a vis avviene soprattutto tra il pubblico che guarda l’opera, ritrovandovi sorprendentemente se stesso, e noi stessi visti in un modo nuovo, ecco perché le sue sculture sono riflettenti; devono avere questa nobile finzione perché lo specchiarsi rende vivi! La nostra immagine che si riflette è uno degli indizi che ci indicano la vita, vedersi o transitare davanti ad una sua opera ci rende consapevoli della nostra presenza viva, del qui e ora.
In nessun altro momento, come questo, della vita dell’uomo, è stata data così tanta importanza alla Bellezza, specie quella Naturale. L’uomo ricerca la bellezza nella vita quotidiana, nel suo volto e nel suo aspetto, la va a scovare nei viaggi, la riproduce con le immagini, cerca di proteggerla nel paesaggio, elevandola, almeno a parole, ad un valore quasi primario. Nei fatti poi, incoscientemente, gli riserva indifferenza, la distrugge, la danneggia, l’offende ogni giorno. Le sculture di Helidon Xhixha, posizionate nei punti strategici di Città di Castello e di Montone hanno un significato preciso inducendo a rendere protagonisti, sia l’uomo, che in esse si riflette, che la natura che li fa da contorno, con un’esperienza estetica contemporanea, che attrae chiunque si avvicini, chiunque contempli la luce riflessa, o chi da lontano legga, come un modernissimo e necessario dialogo, l’apparizione di questi gioielli d’argento, che, come astronavi di luce, si sono appena posate sul prato delle mura o tra le pietre di Piazza Gabriotti.
Questo inserirsi con contrasto o con discrezione nella vita cittadina, restituisce volutamente il carattere dell’artista, che sprona quella spinta, per suscitare una forte esperienza estetica che riguarda sia la natura che l’artificio, dando luogo ad una rinnovata sensibilità ed un nuovo interesse per la bellezza. Per la bellezza della natura, che non è solo la difesa della natura, ma traversando il campo dell’etica, diventa amore per la bellezza naturale, componente essenziale per una buona qualità della vita. Quindi per proteggere ciò, uomo e ambiente, è necessaria una consapevolezza culturale, storica ed artistica. L’identità estetica dei luoghi si identifica nelle persone ed entrambe, stampandosi e proiettandosi sulle sculture di Xhixha le rendono vitali e capaci di muoversi, in una parola, vive! Ancor di più, quando il faccia a faccia, avviene tra le sculture e le opere d’arte, con le delicatezze di cipria di Raffaello o le pose cromatiche dei personaggi del Signorelli che le superfici di Xhixha incontrano nelle sale interne della Pinacoteca. Il riscontro culturale si scioglie in bellezza pura ed eterna, e tra i due magici artifici, tra le due opere d’arte, create da un fare acheropita, se ne inserisce un’altra luminosa e fiera della sua contemporaneità, pronta ad accogliere il visitatore per integrarlo, includerlo, inserirlo nella storia, nei fatti del presente, partecipe delle scene miracolose che avvengono alle sue spalle, mentre lo stesso, diventa a sua insaputa, interattivo con loro, scattandosi un’imperdibile selfie.